Simonazzi Daniela AnnaAZORLa Resistenza "incompiuta"di un comandante partigianoAGE editrice- Reggio Emilia, 2004per contatti,informazioni,e reperibilità:danielasimonazzi@alice.itper librerie:UVER Reggio Emiliatel 0522.555063fax 0522.554365magazzinouver@tin.it
18 agosto 2005
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Giovanni Lindo Ferretti. Falce e Martello. Prima Nazionale Correggio25.4.05
Mario Simonazzi, il comandante Azor, antifascista partigiano cattolico, combattente ogni totalitarismo, aveva scelto per tetto il cielo, per letto la terra e a testimone Iddio. Non è tornato a casa tra le colline di Albinea che lo avevano visto nascere e crescere, che amava e conosceva come le sue tasche. Da giovane comandante partigiano viaggiava di casolare in casolare su verso la montagna, benvoluto per l’onestà, l’intelligenza, le capacità, la nobiltà d’animo. E’ stato ucciso a ventiquattr’anni, a pochi giorni dalla liberazione. Un delitto in economia, quasi rituale,un po’ di fil di ferro e una pallottola come animale al macello, quando si dice il valore della fede, della famiglia. Solo grazie a Daniela, una nipote che non ha potuto conoscere ma che gli vuol bene, la sua storia non è morta come la sua giovane vita in una indifferenza coltivata nella paura o nell’odio. Purtroppo quando finì di infuriare la bufera calò la nebbia, molte le ombre nell’oscurità. Nel gennaio 1946, sei pallottole malcentrate porteranno comunque alla morte Giorgio Morelli che non ha paura. E’ un giovane partigiano insorto a diciassette anni contro il nazifascismo. E’ un vincitore, nobile d’animo, assetato di libertà e giustizia con uno stupendo nome di battaglia “Il Solitario”. Il sangue dei vincitori riproduce all’infinito un sospetto che cresce invece di essere risolto.Più aumenta la retorica, più aumenta l’imbarazzo: che non diventi vergogna. La Resistenza è il fondamento della nostra democrazia, è la nostra libertà, un lascito pagato col sangue dei vincitori. Lo sguardo che ci lega in eterno a loro deve essere sereno e finalmente in pace. Pacificato e non abusato.
Mario Simonazzi, il comandante Azor, antifascista partigiano cattolico, combattente ogni totalitarismo, aveva scelto per tetto il cielo, per letto la terra e a testimone Iddio.
Non è tornato a casa tra le colline di Albinea che lo avevano visto nascere e crescere, che amava e conosceva come le sue tasche.
Da giovane comandante partigiano viaggiava di casolare in casolare su verso la montagna, benvoluto per l’onestà, l’intelligenza, le capacità, la nobiltà d’animo.
E’ stato ucciso a ventiquattr’anni, a pochi giorni dalla liberazione. Un delitto in economia, quasi rituale,un po’ di fil di ferro e una pallottola come animale al macello, quando si dice il valore della fede, della famiglia.
Solo grazie a Daniela, una nipote che non ha potuto conoscere ma che gli vuol bene, la sua storia non è morta come la sua giovane vita in una indifferenza coltivata nella paura o nell’odio.
Purtroppo quando finì di infuriare la bufera calò la nebbia, molte le ombre nell’oscurità. Nel gennaio 1946, sei pallottole malcentrate porteranno comunque alla morte Giorgio Morelli che non ha paura. E’ un giovane partigiano insorto a diciassette anni contro il nazifascismo. E’ un vincitore, nobile d’animo, assetato di libertà e giustizia con uno stupendo nome di battaglia “Il Solitario”.
Il sangue dei vincitori riproduce all’infinito un sospetto che cresce invece di essere risolto.Più aumenta la retorica, più aumenta l’imbarazzo: che non diventi vergogna.
La Resistenza è il fondamento della nostra democrazia, è la nostra libertà, un lascito pagato col sangue dei vincitori. Lo sguardo che ci lega in eterno a loro deve essere sereno e finalmente in pace. Pacificato e non abusato.
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